Benvenuti nel Blog sulla genitorialità difficile!

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AFFIDI FAMILIARI AD ESITO INCERTO

1. L’AFFIDO NON DIVENTI LA SCORCIATOIA PER L’ADOZIONE
All’Associazione La Gabbianella e altri animali va il plauso per aver amplificato il dibattito, già in essere da tempo, sul tema della “tutela della storia affettiva” dei minori in affido.
A nostro avviso la petizione al Parlamento Italiano promossa da detta Associazione relativamente a “Diritto ai sentimenti per i bambini in affidamento”, pur condivisibile nelle premesse e nelle motivazioni, abbisogna però di alcune integrazioni onde evitare che possa aprirsi un pericoloso collegamento tra l’affidamento e l’adozione.
Riprendendo un passaggio presente nella petizione, sentiamo doveroso affermare che «se si aprisse un varco tra i due istituti, soprattutto nei casi dei bambini piccoli, si permetterebbe di aggirare la legge sull’adozione, che prevede requisiti diversi per adottare o prendere in affidamento. … Anche persone prive dei requisiti per l’adozione finirebbero per poter adottare».
La presidente de La Gabbianella, Carla Forcolin, afferma che «appare inimmaginabile che ci siano persone che si offrono per un compito tanto pesante come quello dell’affido» pur di adottare un bambino. Purtroppo la realtà supera di molto la fantasia e la casistica è ricca di situazioni in cui famiglie non idonee all’adozione hanno “inventato” percorsi anche ben più complessi del semplice “impegnarsi in un affido”.
Pertanto si ritiene utile una integrazione (evidenziata in grassetto) a quanto proposto da La Gabbianella nell’ipotizzato 5° comma dell’articolo 4 della legge 184/83: «Qualora l’affidamento di un minore si risolva in un’adozione … va favorita la permanenza del bambino nella famiglia in cui egli già si trova, qualora questa sia in possesso dei requisiti per l’adozione». In mancanza di tale “paletto”, schiere di persone che non riescono ad adottare bambini per “via ordinaria”, intraprenderebbero il percorso dell’affidamento in vista di quest’unica prospettiva.
2. NON CONFONDERE AFFIDO ED ADOZIONE. LA CENTRALITÀ DEL PROGETTO E DELLA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE GENITORIALI
Un altro rischio da evitare è che venga snaturata l’essenza dell’affidamento che prevede, innanzitutto, il mantenimento dei rapporti con la famiglia d’origine, cosa che lo differenza dall’idea dell’adozione diffusa nell’immaginario collettivo.
Per fare chiarezza occorrerebbe distinguere:
- gli “affidamenti chiaramente integrativi”, cioè gli affidamenti canonici, quelli intrinsecamente connessi al sostegno alla famiglia di origine - che si auspica rappresentino sempre la maggioranza dei casi – con finalità preminentemente educativa, miranti ad integrare, senza eliminare, il ruolo della famiglia d’origine, per periodi più o meno lunghi;
- gli “affidamenti tendenzialmente sostitutivi” (ovvero i cd. affidamenti a rischio giuridico), cioè quelli connessi all’apertura della procedura di adottabilità. Si tratta di affidamenti che hanno innanzitutto una funzione di protezione del minore e che, salvo eccezioni, fungono da anticamera dell’adozione. Sono dunque affidamenti finalizzati a fornire – seppur gradualmente e prevedendo una possibile reversione - figure genitoriali alternative a quelle biologiche.
- gli “affidamenti ad esito incerto”, che ricorrono in quei casi – si spera sempre eccezionali e poco numerosi - in cui si parte con un impegno significativo di supporto a funzioni genitoriali gravemente compromesse ma che non si è certi di poter recuperare. Possono evolvere tanto in un rientro in casa, che in un prolungamento dell’affidamento, che nell’apertura della procedura di adottabilità. Sono percorsi “in divenire” che nascono con l’obiettivo di sostenere il ruolo della famiglia biologica ma che, laddove ciò non risulti fattibile, sono aperti anche ad evoluzioni adottive.
La prima tipologia (affidamenti chiaramente integrativi) è chiaramente un affido, sia in fase iniziale che nel prosieguo, e come tale va trattata.
La seconda (affidamenti a rischio giuridico - tendenzialmente sostitutivi), come già avviene in una prassi assai diffusa, è proposta alle “famiglie del tribunale per i minorenni”, cioè a quelle che hanno i requisiti per l’adozione e che hanno dichiarato una precisa volontà di adottare e la disponibilità a rischiare che tale adozione possa non verificarsi affatto. In tal senso è utile richiamare quanto proposto da Elisa Ceccarelli, già Presidente del Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna, la quale, partecipando al dibattito sulla Petizione, cerca di evitare prassi distorte e dunque ipotizza l’inserimento, dopo il comma 3 dell’articolo 10 della legge 184/83, del seguente dettato: «La famiglia presso la quale può essere disposto il collocamento temporaneo deve essere scelta tra quelle aventi i requisiti per l’adozione e capaci di accettare il rischio connesso al procedimento in corso. Qualora sia nell’interesse del minore mantenere, nel corso del collocamento, rapporti con i genitori o i parenti di cui all’art. 12, tali rapporti devono avvenire in luogo neutro”».
Sosteniamo il bisogno generale di un maggiore ricorso ai cd. collocamenti a rischio giuridico, specie nel caso di bambini piccoli o piccolissimi, e appoggiamo l’idea che essi debbano avere una durata ridotta.
La terza tipologia (affidamenti ad esito incerto) è quella che evidenzia le maggiori criticità e riteniamo che occorra introdurre nei servizi delle innovazioni procedurali per affrontarle adeguatamente. Parafrasando le linee guida della Regione Veneto in materia di affidamento familiare, spesso gli affidi ad esito incerto sono infatti il frutto di «“fallimenti” prognostici di
recuperabilità delle famiglie di origine»1. Questo rimanda alla necessità di un più vigoroso sforzo progettuale nonché al bisogno di potenziare la capacità dei servizi di effettuare adeguate valutazioni delle competenze genitoriali. Un’accurata valutazione diagnostica e prognostica a monte circa la recuperabilità delle capacità genitoriali è l’elemento discriminante tra un “buon” e un “cattivo” affido. Per usare una metafora, essa è la bussola che orienta l’operatore nel decidere “che tipo di affido progettare”, “a quale famiglia” e “per quanto tempo”.
La realtà quotidiana dimostra in molti servizi una diffusa difficoltà ad espletare compiutamente tale tipo di lavoro. L’assenza di una diagnosi/prognosi compromette l’intero percorso di affido in quanto, di fatto, non si sa se e quando il bambino potrà tornare dai suoi genitori o parenti.
La valutazione a monte delle competenze genitoriali e, conseguentemente, la chiarezza sul tipo di affido che si pone in essere, consentirebbe di orientare la scelta della tipologia di famiglia accogliente. Specialmente gli “affidamenti ad esito incerto” richiedono questa risposta competente che va posta a monte del percorso, onde evitare di ritrovarsi, a valle, con un groviglio inestricabile. I punti da sviluppare sono due:
- i requisiti: è opportuno che queste famiglie siano in possesso dei requisiti per l’adozione. Senza entrare nello specifico del come tali requisiti debbano essere verificati (pur rimandando ad un altro momento un confronto in tal senso è però opportuno precisare che a nostro avviso dovrebbe essere sempre il Tribunale per i minorenni a certificarne la presenza) occorre recepire e valorizzare l’animus della norma sull’adozione che punta a cercare il meglio per bambini già assai provati dalla vita.
- la motivazione: a differenza dell’affidamento a rischio giuridico in questo caso occorre verificare la presenza di una motivazione preminentemente affidataria. Deve cioè trattarsi di famiglie che non nascono come “aspiranti adottive” perché non è questa la prima e principale richiesta che viene loro rivolta (a mo’ di slogan potremmo affermare che devono essere famiglie affidatarie DOCG, cioè di “Origine Controllata e Garantita”). Riteniamo, a tale proposito, che non basti la sola partecipazione ad un corso di formazione o il semplice essere iscritti nell’elenco comunale delle famiglie affidatarie; questi sono aspetti importanti ma che da soli non costituiscono sufficienti livelli di garanzia.
È necessario un percorso di approfondita conoscenza della famiglia da parte degli operatori pubblici, fatto sia di colloqui che di “osservazione in opera”.
Assai utili sono alcuni indicatori “oggettivi” quali la presenza di figli propri e di esperienze pregresse di affidamenti “integrativi” e la partecipazione prolungata a percorsi di gruppo e di condivisione con altri affidatari. Si tratta insomma di famiglie che inizialmente sono inserite negli elenchi degli affidatari tenuti dai servizi sociali e che solo successivamente “finiscono” anche in quelli per l’adozione curati dai tribunali.
Va infatti considerata la complessità di tali percorsi, una complessità che non rimanda soltanto ad una questione di formazione contenutistica, ma ad un processo di maturazione e di prontezza emotiva che riguarda l’intera famiglia accogliente, quindi genitori e figli naturali.
Deve dunque trattarsi di famiglie altamente competenti per esperienza e per capacità genitoriali, in grado di aderire progettualmente al percorso del minore e dotate di risorse di generatività sia da un punto di vista sociale che familiare. Certo è che un’adeguata valutazione di questo profilo cognitivo-emotivo, da farsi sia in fase di abbinamento iniziale che a progetto in corso, abbisogna di un lavoro d’équipe altamente specializzato e multidisciplinare, spesso non pienamente fruibile nei servizi pubblici e sanitari o nel terzo settore attivi sul territorio. Senza quindi pensare ad una diffusione generalizzata ed indiscriminata di questa modalità di intervento, si propone di iniziarne delle sperimentazioni mirate nei principali centri di eccellenza italiani.
1 Linee Guida 2008 peri servizi sociali e sociosanitari. L’affido familiare in Veneto. Cura, orientamenti, responsabilità e buone pratiche per la gestione dei processi di affidamento familiare, Regione Veneto, Vicenza, 2008, pagg. 173-175.
Tutto quanto sopra ipotizzato porterebbe ad evitare la presenza nei percorsi di “affidamento ad esito incerto” di persone prive dei requisiti per l’adozione o con motivazioni affidatarie spurie.
Fatte queste premesse diviene allora possibile per gli operatori uscire allo scoperto, superando l’ipocrisia che le situazioni incerte comportano quando si finisce con lo “spacciare per certi” esiti e prospettive che tali non sono. Bisogna favorire un confronto franco con le famiglie affidatarie fin dal momento dell’avvio del percorso, alle quali va chiarita l’incertezza prognostica e la possibilità, seppur remota e non auspicata, che il tutto evolva verso l’adozione.
Ciò favorisce una progettazione più chiara e consapevole del loro ruolo, inserendolo a pieno nel progetto di affido e permettendogli di partecipare attivamente ed utilmente al processo.
Il chiarimento delle possibili evoluzioni adottive è inoltre doveroso perché – al di là di alcuni luoghi comuni - non sempre gli affidatari sono disponibili a divenire genitori adottivi e sarebbe specioso il caso in cui il minore divenuto adottabile dovesse trovare indisponibili all’adozione coloro che lo accolgono da anni.
La piena chiarificazione potrebbe addirittura portare a distinguere due sezioni all’interno delle banche dati degli affidatari tenute dai servizi pubblici:
- la sezione degli “affidatari ordinari”, deputata agli affidi integrativi e di breve durata, aperta anche ai single ed alle famiglie idonee all’affidamento ma non all’adozione;
- la sezione degli “affidatari aperti” (o “affidatari forti” *in contrapposizione al concetto di “adottanti miti”+ o come altro li si vuole chiamare), deputata agli affidi ad esito incerto, aperta alle sole famiglie idonee e disponibili all’adozione e con motivazione all’affido “controllata e garantita”.
Anticipando in parte il tema del successivo paragrafo, sottolineiamo infine il bisogno di dedicare particolare attenzione al percorso cognitivo-emotivo dei bambini coinvolti in affidamenti ad esito incerto. Sono loro infatti che devono divenire protagonisti consapevoli della propria storia, nel senso che nel tempo, a seconda dell’età e delle risorse emotive, occorre sostenerne la presa di coscienza degli orientamenti che la loro vita va sviluppando.
3. TUTELA DELLA STORIA AFFETTIVA, IN TUTTE LE DIREZIONI !
Pienamente condivisa la parte della proposta de La Gabbianella in cui si ipotizza di integrare l’articolo 4 della legge 184/83 con il seguente testo: «vanno protetti i rapporti instauratisi … tra affidati e membri della famiglia affidataria … nelle forme e nei modi ritenuti più opportuni dagli operatori».
Utile anche qui la proposta di Elisa Ceccarelli, secondo la quale «a volte il trasferimento avviene in modo drastico, altre volte è graduale, ma poi è molto difficile che venga mantenuto un rapporto tra il bambino e coloro con i quali ha vissuto e che lo hanno cresciuto per periodi spesso lunghi». La Ceccarelli suggerisce di integrare l’art. 22 della legge 184/83 con il seguente dettato: «In ogni caso si deve tenere conto dei rapporti significativi che il minore abbia instaurato con eventuali precedenti affidatari. Salvo che ciò risulti in concreto contrario al suo interesse, il minore ha diritto di mantenere tali rapporti nel modo più opportuno, considerate le sue condizioni e le sue esigenze evolutive nonché le caratteristiche degli affidatari. Nella scelta della coppia adottiva si deve tener conto anche della sua capacità di rispettare tale diritto».
Aggiungiamo che il mantenimento dei rapporti affettivi pregressi richiede una apposita progettazione, attuata e monitorata dagli operatori, mediante un accompagnamento di lungo periodo.
È inoltre doveroso sottolineare che la “tutela degli affetti” va garantita non solo «qualora l’affidamento di un minore si risolva in un’adozione» ma anche quando il minore al termine di una affidamento educativo torna presso i suoi genitori o, come spesso avviene, presso qualche familiare.
Siamo in linea con quanto affermato nel 2° Rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, già richiamato nel Comunicato Stampa dell’ANFAA del 16/02/2010: “È inoltre importante, nell’interesse superiore del minore, che a conclusione dell’affidamento vengano individuate, caso per caso, modalità di passaggio e di mantenimento dei rapporti fra il minore e la famiglia che lo ha accolto, sia quando rientra nella sua famiglia d’origine, sia quando viene inserito in un’altra famiglia affidataria o adottiva o in una comunità».
4. RIDURRE LA DURATA DEGLI AFFIDAMENTI A RISCHIO GIURIDICO
Un nodo importante, difficile da risolvere, che spesso causa gravi deprivazioni affettive dei bambini, è quello della durata abnorme che caratterizza non poche procedure di dichiarazione dell’adottabilità.
Pur riconoscendo il bisogno di attivare tutte le garanzie necessarie per le varie parti in gioco, ivi compresa la possibilità per i genitori biologici di ricorrere avverso dichiarazioni di adottabilità ritenute ingiuste, non è accettabile che nelle more del procedimento giudiziario il minore trascorra ampia parte della sua vita evolutiva in collocamento a rischio giuridico, con grande danno per la sua crescita serena.
Non si tratta tanto di “saltare dei passaggi” bensì di ripensare e restringere i tempi entro i quali devono essere espletati.
5. AFFIDI LUNGHI “EDUCATIVI” E “CONSAPEVOLI”
Concludiamo la riflessione allargando il ragionamento agli “affidi educativi” di lunga durata.
Della possibilità di ricorrere a questa forma di intervento, in risposta alle cd. situazioni di “semi-abbandono permanente”, si parla da decenni. Risale al 1983 il significativo intervento di Paolo Vercellone 2, allora presidente del Tribunale per i Minorenni di Torino: «Dovunque, lo strumento dell’affido familiare è stato ritenuto prezioso in queste situazioni in cui bambini e adolescenti possono crescere bene nella famiglia affidataria, mantenendo contatti significativi con i propri genitori naturali, sprovveduti sì, ma non inesistenti»3.
2 Già richiamato da Francesca Ichino Pellizzi nel saggio “Alcune riflessioni in merito alla legge 149/01 sull’affidamento familiare”, nel Quaderno 24 del Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza.
3 Vercellone P., Disciplina dell’adozione e dell’affidamento familiare. Prime osservazioni, in «Giurisprudenza italiana», 1983, parte IV.
Come Francesca Ichino Pellizzi precisa, parliamo di «genitori incapaci di organizzarsi e di organizzare una famiglia, ma non a tal punto da giustificare il provvedimento estremo dell’adozione».
In questi casi l’affidamento non va inteso come provvedimento temporaneo, pur essendo chiara l’assenza di una possibile evoluzione adottiva. Lo scopo è offrire la migliore soluzione possibile ad un minore che non può vivere con la sua famiglia biologica ma che non può neanche perderla del tutto.
Condividiamo completamente le riflessioni poste dal CNCA durante il convegno nazionale promosso dall’ANFAA nel novembre 2009 a Torino: «L’affido familiare a lungo termine è invece, a mio parere, una forma di affido con IDENTITA’ SPECIFICA. Non è un affido “sbagliato”, mal riuscito, … di risulta … quasi una deriva da nascondere … penso infatti che l’affido a lungo termine richieda legittimazione a partire proprio dalla capacità di pensarlo, ri-significarlo e dunque ri-nominarlo quale progetto specifico … una specifica forma di affido, accanto alle altre … fa appunto riferimento a quelle situazioni familiari che – pur essendo incapaci di rispondere alle esigenze educative del proprio figlio … - mantiene con lui un rapporto significativo. E per “rapporto significativo” si intende, penso, la rilevanza dell’esistenza di legami affettivi riconoscibili ed importanti per la vita – e per la storia – del minore, del figlio da crescere … questo aspetto ci sembra caratterizzante proprio delle situazioni di affido, e proprio di affido a lungo termine»4.
Si tratta di una progettazione impegnativa e complessa, di cui non abusare, che, richiamando alcuni documenti del CNSA, permette al minore di «non perdere le tracce della propria famiglia»5 e richiede un «approfondimento dei parametri per la definizione dello stato di semi abbandono»6.
Salerno, 29 maggio 2010
Marco Giordano
(federazione Progetto Famiglia)